#Eschilo si rifugia nel container di ricci/forte

“Darling” il nuovo, ancora da rodare, lavoro dei due autori e registi è un apocalittico ritratto umano tra tragedia classica e il rock dei Led Zeppelin

Anna Bandettini (Repubblica 12/10/14)

Il palco che negli altri spettacoli era presto pieno di sacchetti dell’Ikea, nanetti di plastica, bottigliette d’acqua, jeans indossati e tolti, è diventato uno spazio vuoto, sotterraneo, come il pozzo profondo del cattivo Bane nell’ultimo Batman di Nolan. Un antro con luci al neon e al centro un container abitato da giovani naufraghi e antiche memorie. Chi sperava di vedere la consueta fermentazione dei sentimenti, il cuore che brucia del teatro di ricci/forte è rimasto deluso l’altra sera all’Eliseo per il Festival Romaeuropa (coproduttore con il Css di Udine, le Colline Torinesi e il teatro di Bobigny) dove hanno presentato il nuovo Darling. Con un gesto di coraggio, Stefano Ricci e Gianni Forte, gli autori e registi che meglio hanno rappresentato il mondo visto dai trentenni, lasciano da parte l’ardore estremista di Macadamia Nut Brittle, Troia discount, Imitationofdeath e si confrontano con la vita non più solo presente. I loro personaggi diventano ora spazio della memoria, intimo, vago, archetipico nelle sue cicatrici lontane, simili a quelli dell’ Orestea che sta alla base di questo spettacolo. Ma nella geografia fantastica di ricci/forte il riferimento alla tragedia classica è soprattutto la perdita di verità, la “rovina del senso”: di sé, della famiglia, delle relazioni, delle radici (che bella la scena in cui due pupazzetti, dalla ribalta di una finestrella del container, raccontano Eschilo in una trama di corna tra mamma e papà). E infatti quel container di ferro, montato e smontato, dove si ritirano, si rifugiano e fuggono i quattro personaggi sempre più nudi (in abiti eleganti, poi in tuta arancione come a Guantanamo, poi senza più niente) è uno spazio mentale, un rifugio “post-apocalisse” dell’anima dove proiettare fatti infantili e reviviscenze, autobiografia e Eschilo, gli Atridi e gli arrivi all’aeroporto, Artaud e twitter, la “febbre del sabato sera” e la percezione della morte, i Led Zeppelin e il valzer di Strauss… un orizzonte confuso, precario, privo di un centro, di un ordine, di un futuro… Non più famiglia, non più società… Cosa allora? domanda Darling . Ma il fatto che ci sia troppo parlato monologante e troppo “scritto” (cose come “colpi mortali nella mia playlist”, “cerco la luce, trovo lo scampo”), che le due ore filate di spettacolo non trovino un ritmo, troppo sbilanciate verso il disastro (“Non credo più agli uomini” si ripete), ne fanno un lavoro faticoso, ancora da districare e senza lo slancio di identificazione dello spettatore che è stato un facile, complice, ingresso nel mondo-ricci/forte. Ma è anche vero che il loro teatro non rappresenta: è una condizione umana, e qui — specie in alcuni momenti, all’inizio quando Giuseppe Sartori bellissimo scende le scale tra stridii di uccelli, l’apparizione di Anna Gualdo sopra il contaniner, anziana, cadaverica che tenta afasicamente di impartire ancora lezioni di vita o quando tutti, con Piersten Leirom e Gabriel Da Costa, chiedono aiuto in cima al container sotto il fragore degli elicotteri o il gelido finale con i bambolotti patetici nei vasi, come piante che non cresceranno mai — qui, c’è una sincerità concreta, un gorgo autentico di umanità non più solo generazionale, un bisogno meno esibizionistico ma più spudorato di esporre la propria condizione nel naufragio di ogni speranza.

DARLING

Testo e regia di ricci/forte Con Anna Gualdo (foto), Giuseppe Sartori, Piersten Leirom, Gabriel Da Costa, Teatro Eliseo, Roma fino a oggi

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