Enigma #Costantino, santo #uxoricida
Campione del #cristianesimo o cinico #tiranno che usò la fede per puntellare il suo regime? Una monumentale biografia di Alessandro #Barbero smonta la leggenda dell’imperatore che fece bollire la sposa infedele
di Giorgio Ieranò (La Stampa 5/5/16)
Nerone ha ucciso sua madre ed è passato alla storia come un mostro. Costantino ha cucinato sua moglie nell’acqua bollente ed è stato fatto santo. Strano caso davvero quello di Costantino (274-337 d.C.), signore dell’impero romano per oltre trent’anni, dal 306 alla morte. Più si leggono i testi antichi e più la sua figura appare inafferrabile. Da un lato, c’è l’eroe della leggenda cristiana, il campione della fede che trionfa in battaglia esibendo il simbolo della Croce («In hoc signo vinces», con questo segno vincerai). Dall’altro, c’è l’usurpatore violento e assetato di potere che conquista il trono massacrando i rivali, l’imperatore vizioso e debosciato, il politico cinico che si serve furbescamente del cristianesimo per puntellare il suo regime tirannico.
Caratteri contraddittori
L’illustre storico settecentesco Edward Gibbon confessò di avere dato alle fiamme più di cinquanta fogli del suo Declino e caduta dell’impero romano perché non sapeva come raccontare Costantino. Non sappiamo quanti fogli abbia bruciato Alessandro Barbero prima di arrivare alle 850 pagine del suo Costantino il Vincitore, che esce in questi giorni presso la Salerno editrice. Certo è che sono pagine scritte splendidamente. Barbero viviseziona le fonti con rigore assoluto ma anche con piglio vivace, divertente e divertito. Non ci offre la chiave dell’enigma di Costantino. Anzi, sottolinea volutamente il carattere contraddittorio delle testimonianze antiche, passate in rassegna secondo le varie tipologie: panegirici e biografie, epigrafie e monete, editti e monumenti. Ne viene fuori una specie di Rashomon della Roma imperiale, dove ogni voce racconta la figura di Costantino in un modo diverso.
La frase celebre
Per esempio, il lettore comune crede di sapere che l’imperatore inaugurò la stagione della tolleranza verso il cristianesimo con l’editto di Milano, promulgato nel 313. Poi uno legge il libro di Barbero e scopre che l’editto non fu promulgato a Milano, anzi non fu neppure un editto ma una semplice lettera circolare, per di più pubblicata non da Costantino ma dal suo collega-rivale Licinio. Anche la leggenda della visione miracolosa che, prima della battaglia contro Massenzio al Ponte Milvio, induce l’imperatore a schierare l’esercito sotto un’insegna cristiana, è raccontata in modi spesso contraddittori. La celebre frase «In hoc signo vinces» è evocata solo nella Vita di Costantino di Eusebio, solerte biografo di corte. Peraltro Eusebio, che scrive in greco, non usa il futuro («vincerai») ma l’imperativo («vinci»). Quasi il comando divino fosse un urlo da stadio: «vinci» (níka) era infatti un grido che i tifosi usavano durante le gare dei carri negli ippodromi.
Ma come si concilia il Costantino folgorato dalla visione cristiana con quello a cui, pochi anni prima, appare invece il dio Apollo, che l’imperatore avrebbe incontrato faccia a faccia nel 310 in un tempio della Gallia? E come spiegare che sull’Arco di Costantino, eretto nel 315 a Roma per celebrare la vittoria su Massenzio, di segni cristiani non ci sia traccia? Le legioni, anzi, vi sono raffigurate mentre marciano esibendo statuette della Vittoria e del Sole. E Costantino continuerà per anni a farsi rappresentare sulle monete portando sul capo il simbolo solare della corona radiata.
Molti, insomma, restano gli aspetti oscuri e contraddittori della vita e dell’opera di Costantino. A partire dall’episodio morboso che coinvolge Crispo, suo figlio di primo letto. Si narrava che la nuova moglie di Costantino, Fausta, avesse sviluppato una passione incestuosa per il figliastro. Rifiutata, avrebbe accusato Crispo di stupro. L’imperatore mandò quindi a morte il figlio ma poi, scoperta la calunnia, avrebbe punito Fausta facendola cuocere nell’acqua bollente (o, secondo altri, buttandola nuda in pasto alle belve feroci). La vicenda, messa in questi termini, ha un sapore fiabesco e rimanda al mito greco di Fedra. Ma che Costantino abbia ucciso suo figlio e sua moglie è un fatto storico.
Un concorso nell’Aldilà
Costantino, insomma, era «pari a un apostolo» (isapóstolos, come scriveva Eusebio) o era un tiranno sanguinario? Giuliano l’Apostata, suo discendente e successore, lo considerava soprattutto un debosciato. In un’operetta satirica, I Cesari, Giuliano immagina un bizzarro concorso che si svolge nell’Aldilà: gli imperatori del passato fanno a gara davanti agli dèi dell’Olimpo per stabilire chi di loro sia stato il più grande di tutti i tempi. Partecipa anche Costantino ma solo, si spiega, perché ci vuole qualcuno che rappresenti «gli amanti dei piaceri». Certo, Giuliano, restauratore del paganesimo, non poteva apprezzare Costantino. Ma il ritratto resta impressionante. E culmina nell’immagine di Costantino che, truccato e vestito di abiti multicolori, corre dietro a Gesù, sperando di potersi purificare dai suoi crimini con un po’ di acqua benedetta.
Dopo Giuliano, la «leggenda nera» di Costantino viaggerà attraverso i secoli accanto alla favola cristiana. A Voltaire, l’imperatore apparirà come un «tiranno superstizioso» che solo «gli adulatori clericali» («flatteurs ecclésiastiques») possono considerare un grand’uomo. Difficile oggi sottoscrivere un giudizio così drastico. Ma il libro di Barbero, che tiene ben ferma la distinzione tra storia e agiografia, sarebbe senz’altro piaciuto anche a Voltaire.