#Diritto & #mito
#Edipo e l’equilibrio di poteri
di Mauro Campus (Il Sole Domenica 20/5/18)
Interrogare i classici per meglio interpretare la contemporaneità è uno degli esercizi cui ogni società matura dovrebbe rivolgersi costantemente. Il nostro rapporto con le radici del pensiero moderno dovrebbe essere automatico perché esse riflettono le caratteristiche delle comunità che nei secoli si sono fondate guardandole. Per i popoli che si sono culturalmente legittimati sul repertorio mitografico fluito dalle esperienze che i classici riassumono e riordinano, tale esercizio è saldato a basilari caratteri identitari. Da questa consapevolezza nasce l’esigenza di due giuristi come Marta Cartabia e Luciano Violante di misurarsi con Edipo, Antigone e Creonte. Com’è intuibile, l’analisi proposta, pur accarezzando a tratti l’approccio filologico, non ha alcuna pretesa di spiegare nuovamente l’enorme messe di riferimenti all’ordine sociale che i miti sintetizzano, si propone piuttosto di indagare le intersezioni fra quei riferimenti e la percezione contemporanea della giustizia e di un efficiente ordine sociale. Si tratta di un ragionamento la cui curvatura riflette la vita professionale dei due autori, i quali hanno sperimentato e sperimentano i dilemmi che un alto ufficio istituzionale pone.
Per quanto Cartabia e Violante riconducano l’analisi al piano giuridico presentissimo in Edipo Re e Antigone, il montaggio del loro ragionamento finisce per incrociare – seppur per allusione – l’attualità politica che, vista da quella prospettiva, richiama le evidenti incrinature dell’equilibrio dei poteri che connotano lo stato di salute della democrazia e della rappresentanza. Si tratta di temi che, sebbene i due saggi (Edipo Re di Cartabia, Antigone di Violante) si tengano correttamente lontani dall’oggi, lo descrivono però con perfezione adamantina. Ma il tentativo di non cadere nell’esplicitazione dei richiami al presente è in realtà limitato dall’universalità dei personaggi e delle vicende affrontate nelle due conversazioni. Il perimetro in cui si articola la riflessione parallela dei due autori è definito dal conflitto tra legge umana e legge divina, tra coscienza individuale e ragion di Stato. Questa è la quinta con cui i due testi stabiliscono una dialettica che guarda i modi attraverso i quali la società occidentale si è costruita, riconosciuta e, poi, è entrata in una crisi che pare a tratti irreversibile, specie quando ancora si confronta con la contrapposizione che dovrebbe immaginarsi superata: quella tra lex e ius. E se Antigone è da sempre un interlocutore privilegiato di chi ne ha osservato la dimensione giuridica, invece i riferimenti all’equilibrio dei poteri e ai dilemmi con i quali chi governa dovrebbe dialogare sono presentissimi in Edipo. Egli è un monarca posto dinanzi alla rovina della città che regge, Tebe, dopo l’assassinio del padre e l’incesto con la madre. È quel crimine che lo colloca al centro di un complesso gioco dei punti di vista, delle ottusità, degli arcani, delle riluttanze dei protagonisti. È il conflitto tra la legge degli avi e la nuova legge della città: un conflitto irrisolto nel V secolo a.C. che ricorda le linee di faglia che la crisi delle democrazie fa sperimentare agli evolutissimi regimi capitalisti contemporanei.
Con il tempo la tendenza a identificare ciò che è buono e giusto con ciò che è consentito dalla legge e ciò che è male con quello che la legge proibisce ha costruito l’identità dell’Occidente e ha alimentato la fiducia nelle virtù del sistema democratico. Un sistema che ha fatto superare la condizione di coro al popolo e lo ha reso cittadino e attore. Ed è da cittadini che ci sentiamo sollevati dalla responsabilità personale di decidere che cosa è buono e che cosa non lo è, ma è nell’esperienza della cittadinanza – pure così confortevolmente mediata – che torna centrale il dilemma tra ciò che è religione, ciò che è morale e quello che il diritto può regolare. Il limes tra queste realtà appare ancora incerto e problematizzato dall’assenza di entità divine capaci di comporre conflitti apparentemente insanabili. Comporre quelle distinzioni ed equilibrarle è però necessario alla civiltà. Sono gli uomini che ora devono – attraverso la mediazione – conciliare tendenze potenzialmente conflittuali e quindi interpretare (o reinventare) lo spirito con cui Atena convinse le Eumenidi a partecipare alla vita della città. Fu quello il modo per interrompere i loro incantesimi e garantire l’edificazione di un futuro florido.
Marta Cartabia, Luciano Violante, Giustizia e mito. Con Edipo, Antigone e Creonte , il Mulino, Bologna, pagg. 174, € 13