Da #Dante a #Manzoni a #PrimoLevi se le parole non bastano più

Il suono del #silenzio che si ascolta nei libri ( #GregorioNazianzeno   #tragediagreca  )

di Francesco Erbani (Repubblica 7/2/15)

«Taci, a meno che il tuo parlare sia meglio del silenzio»: è la traduzione non proprio letterale di « Aut tace, aut loquere meliora silentio » , l’iscrizione che Salvator Rosa regge con una mano nell’autoritratto che il pittore realizzò a metà del Seicento e che ora è alla National Gallery di Londra. Il silenzio compete con la parola. Non è solo il niente, non è il contrario del rumore né il grado zero della comunicazione. È mancanza e rinuncia, ma anche il “non detto” ha la propria capacità comunicativa.

E la letteratura ha elaborato nei secoli una esauriente gamma di significati che al silenzio si possono attribuire e che riscattano un’immagine apparentemente priva di senso, bensì ricchissima di sfumature, di implicazioni culturali ed emotive. Bice Mortara Garavelli, linguista, studiosa di grammatica (l’ha insegnata per tanti anni all’Università di Torino) ha composto una galleria di silenzi traendoli da un repertorio che va dai tragici greci fino a Carlo Levi, da Dante, Ariosto e Manzoni a Elsa Morante, a Primo Levi, a Lalla Romano ( Silenzi d’autore , Laterza, pagg. 135, euro 18). Mortara Garavelli si è occupata di retorica e si è spinta a ricostruire una storia della punteggiatura, seguita da un prontuario dedicato al punto, alla virgola, al punto e virgola e ai due punti: a dispetto di una presunta aridità della questione, l’ultima edizione disponibile, quella del 2012, avvisa che con essa si è giunti alla quindicesima ristampa.

L’antologia sul silenzio potrebbe allungarsi a volontà, ma intanto dà la misura della frequenza del cimento di autori di diverso carattere con una funzione del linguaggio e della comunicazione che non è solo assenza. O che all’assenza fornisce un valore. Partendo dalle ultime prove ecco che cosa dice Mario Brunello, grande violoncellista, in un libro che intitola proprio al Silenzio (il Mulino), degli esperimenti di un altro grande musicista, John Cage, il quale volle che una volta terminata l’esecuzione della sua opera 4,33, il pianista restasse in silenzio esattamente per quattro minuti e trentatré secondi: «L’intento di Cage era ridefinire il concetto tra suono e silenzio e ricondurre i due elementi a una parità di fronte all’arte musicale».

La parità, o quasi, fra il suono e il silenzio nel linguaggio musicale ha ampia cittadinanza, come ce l’ha in architettura quella fra il pieno e il vuoto. In musica o in architettura il silenzio e il vuoto hanno un’evidenza. In letteratura per definire il silenzio occorre ricorrere al suo contrario, la parola. L’Innominato dei Promessi sposi vede il silenzio accompagnarsi alle tenebre e in coppia, il silenzio e le tenebre, aprono il varco a una morte spaventosa. Il silenzio e la notte sono affiancati nella Gerusalemme liberata . Nel V dell’Inferno Dante esprime il buio in quanto «d’ogne luce muto», perseguendo la trasposizione da una sensazione della vista a una dell’udito già presente nel I dell’Inferno: la selva oscura è un luogo «dove ‘l sol tace».

Fu il teologo e vescovo Gregorio Nazianzeno (III secolo) a elevare il silenzio al rango della parola ingiungendo a chi parla di esser sicuro che quel che sta dicendo è certamente meglio del silenzio stesso. Quasi che il silenzio fosse la condizione naturale alla quale si può derogare solo se ci sono cose molto importanti per interromperlo. Per Ariosto, racconta Mortara Garavelli, il silenzio diventa persona. Nel quattordicesimo canto dell’ Orlando furioso l’arcangelo Michele è inviato sulla terra alla ricerca del silenzio, «quel nimico di parole». Il primo luogo verso il quale si dirige è un convento «dove sono i parlari in modo esclusi, / che ‘l Silenzio, ove cantano i salteri, /ove dormeno, ove hanno la pietanza, / e finalmente è scritto in ogni stanza ». Ma ormai nei conventi, per somma delusione dell’arcangelo, il silenzio «non v’abita più, fuor che in iscritto». Dalla ricerca si appura che dove c’è discordia non c’è silenzio, e che il silenzio, un tempo fiancheggiatore di filosofi e di santi, ora «fece alle sceleragini tragitto».

L’esperienza quotidiana, alla quale può attingere la letteratura, mostra che in silenzio si comunicano tante cose, spesso più efficacemente che parlando. Lo attesta Giovanni Boccaccio nella novella del Decameron in cui narra l’amore straziato di Ellisabetta, alla quale i fratelli uccidono l’amante. È stato Cesare Segre, rileva Mortara Garavelli, a mettere in evidenza come i prolungati silenzi della donna, cadenzati dal pianto, esprimano dolore con «repressa eloquenza». Di contro, i silenzi dei fratelli sono opprimenti, non vogliono convincere, ma reprimere.

Un balzo di secoli e d’atmosfera porta Mortara Garavelli all’ Esame di coscienza di un letterato di Renato Serra, nelle cui pagine il silenzio, insieme alla ristrettezza di orizzonti, pare dominare l’intera generazione che va in guerra (in quella stessa guerra dove Renato Serra trova la morte nel 1915). Da Serra al mondo contadino di Carlo Levi, il quale racconta le «terre zitte e solennemente silenziose» di Lucania. O, ancora, alla Napoli di Anna Maria Ortese, dove «il rumore fitto di chiacchierii, di richiami, di risate, o solo di suoni meccanici» non riesce a coprire il fatto che «latente e orribile vi si avvertiva il silenzio».

La galleria di Silenzi d’autore è ancora molto estesa. Ma è sull’indicibile per definizione che può chiudersi questa breve rassegna. Ad Auschwitz, scrive Primo Levi in Se questo è un uomo , «per la prima volta ci siamo accorti che la nostra lingua manca di parole per esprimere questa offesa, la demolizione di un uomo».

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