«Catherine Nixey, Nel nome della #croce
La #distruzione #cristiana del #mondoclassico, Bollati Boringhieri»
No, la violenza non è soltanto dei cristiani
Catherine Nixey ha scritto un saggio piacevole, scorrevole e inutilmente unilaterale. Che segue sempre lo stesso schema di un’opposizione tra pagani tolleranti e illuminati e seguaci del Vangelo fanatici e ignoranti. Il fatto è che, se non ci liberiamo di queste ricostruzioni arbitrarie e di questi luoghi comuni, non saremo mai capaci di costruire una società su valori condivisi
di Mauro Bonazzi (Corriere La Lettura 30/9/18)
«Sono venuto a portare la spada, non la pace!», tuonava Gesù nel Vangelo di Matteo. Nella tarda antichità al posto delle spade venivano usate delle mazze, provvidenzialmente ribattezzate «Israele». Vestiti di nero, con lunghe barbe nere, le brandivano orde di monaci, anonimi e irrintracciabili: arrivavano, colpivano e sparivano, in missione per far sentire la voce del Signore. Altre volte ci si accontentava di bastoni e pietre. Tra i tanti che assaporarono questa forma molto concreta di giustizia divina fu Ipazia, la celebre filosofa e matematica: trascinata in una chiesa, fu scorticata viva; morta, fu fatta a pezzi e le sue membra gettate nel fuoco. Non erano solo gli esseri umani a essere investiti da questa furia. A Palmira, la perla del deserto, fu ad esempio raso al suolo il tempio di Atena e la sua statua tirata giù dal piedistallo, con le braccia mozzate e la testa decapitata. Così, nel volgere di un paio di secoli fu spazzata via una cultura millenaria, quella greca e romana, fatta di terme (dove succedeva di tutto, ma proprio di tutto) e teatri, di poesie erotiche e discussioni filosofiche. C’era stato una volta un mondo capace di godersi la vita, dove ora regnava il terrore di Dio.
Ricordano qualcosa di attuale queste storie di fanatici barbuti e statue abbattute (a Palmira!)? Di sicuro sono vicende che non mancano di una discreta ironia per quanti ricordano il celeberrimo (o famigerato) discorso che Joseph Ratzinger tenne a Ratisbona nel settembre del 2006: negava la legittimità di qualsivoglia legame tra fede e violenza (un legame, suggeriva il Papa maldestramente, forse caratteristico del mondo islamico), rivendicando con chiarezza la necessità di un confronto proficuo con la ragione (il logos dei greci, più precisamente). Chissà che cosa avrebbero risposto Scenute di Atripe, oggi santo della chiesa copta (cristiana), allora instancabile bastonatore (ma non mancava mai di piangere per i nostri peccati, dopo le sue spedizioni) o Tertulliano, uno dei grandi padri della chiesa romana, quello del credo quia absurdum, con tanti saluti ai ragionamenti dei filosofi.
Scritto con grande verve, piacevole e scorrevole, il libro di Catherine Nixey ricostruisce con dovizia di dettagli questi e numerosi altri episodi analoghi, sempre secondo lo stesso schema di un’opposizione tra pagani tolleranti e illuminati contro cristiani fanatici e ignoranti. La tradizione in cui s’inserisce è gloriosa, da Voltaire a Edward Gibbon (passando per esempi meno nobili di scrittori nostrani che campano grazie a un pubblico ristretto ma sempre contento di sentirsi ripetere quanto stupidi siano i cristiani o più in generale i credenti).
È però anche inutilmente unilaterale. Il problema non è solo quello dell’attendibilità storica — davvero la tarda antichità è stato questo bagno di sangue e roteare di mazze? In gioco c’è il problema dell’identità europea e occidentale, e del difficile rapporto che essa intrattiene con la tradizione cristiana. Era il tema che stava sullo sfondo del discorso di Ratzinger a Ratisbona. Ne stiamo ancora discutendo.
In una prospettiva strettamente storica il mito di un’opposizione tra pagani illuminati e cristiani fanatici è appunto nient’altro che un mito. Cirillo, il vescovo di Alessandria e il mandante morale dell’assassinio di Ipazia, fu anche un raffinato teologo: brutale e disumano quanto si vuole nelle battaglie politiche, ma non certamente un ignorante. Ancora di meno lo era Origene, di cui si ricorda solo che si era evirato in ossequio a un passo del Vangelo (ma si eviravano anche i sacerdoti di diversi culti misterici pagani, pare, e Ipazia aveva sbattuto in faccia a uno spasimante un assorbente sporco di sangue perché si rendesse conto di cosa fosse l’amore: non era un’epoca particolarmente sensibile alle sirene del corpo, senza troppe distinzioni tra cristiani o pagani); o tanti altri padri della Chiesa, impegnati in dibattiti infiniti e sottilissimi. Raramente si è discusso tanto come in questi secoli. Le mani e la testa di Cicerone appesi ai Rostri per far contento Marco Antonio o la fila infinita di schiavi crocifissi sulla via Appia dopo la rivolta di Spartaco ci ricordano in compenso che la violenza, pubblica o privata, non era certo prerogativa dei soli cristiani. Il punto decisivo è piuttosto che cristiani e pagani con il passare del tempo divennero due comunità compiutamente integrate. Fronteggiandosi da campi ideologici opposti, queste due fazioni hanno finito per rendersi simili l’una all’altra, ritrovandosi in una eredità culturale comune. Ed è questo su cui bisognerebbe riflettere.
Lontana e poco conosciuta, questa storia, fatta di scontri violentissimi e amanuensi che copiavano pazienti pagine e pagine di testi, è infatti molto più attuale di quanto non si creda. Ai tanti che oggi inneggiano al cristianesimo come ultimo baluardo in difesa della nostra civilità andrebbe ricordato che il cristianesimo non è nato qui: è un prodotto orientale, che ha lentamente e inesorabilmente invaso tutte le coste del Mediterraneo. Perché così è stato e così sempre sarà: le persone e le idee si muovono. Ma ai tanti altri che nel cristianesimo vedono solo una lunga e interminabile teoria di errori e violenze andrebbe fatto osservare che lo spazio riservato da questa religione alla ragione, a quello che i Greci chiamavano logos, è davvero significativo. Quando Paolo predicò sull’Areopago, gli Ateniesi lo irrisero per l’assurdità della sua fede. Ma i suoi successori hanno progressivamente sviluppato una teologia, un modo di guardare al mondo e all’uomo, che non aveva niente da invidiare alla filosofia greca. Pur con tutti gli episodi violenti che si possono rievocare, la battaglia tra Gerusalemme e Atene è stata anche, e forse soprattutto, un confronto di idee, che si è conclusa non con la distruzione del nemico, ma con la conservazione (parziale, sia ben chiaro) del suo patrimonio. E con la comprensione dell’importanza dell’intelligenza e delle parole nella vita degli uomini. Era una delle idee che stava alla base del discorso di Ratzinger. Non c’è bisogno di essere credenti per riconoscere che non aveva tutti i torti.
Naturalmente, non si vuole con questo affermare che tutti i problemi siano stati risolti. «Io», aveva risposto Gesù Cristo, quando Ponzio Pilato gli aveva chiesto che cosa fosse la verità. Non è evidentemente una risposta che può soddisfare il non credente. Ma intanto si sono poste le basi per un terreno comune (quello della verità o dell’accordo) su cui ritrovarsi, in cui le istanze opposte possano esprimersi. È il problema della tolleranza, in altre parole, un principio fondamentale oggi che appare difficilmente compatibile con le idee di questi primi cristiani. Ma proprio il confronto con questa tradizione dovrebbe aiutarci a fare chiarezza, impedendo di fare della tolleranza un idolo vuoto: perché una tolleranza illimitata non può che scadere in un relativismo morale per cui ognuno si sente libero di fare quello che vuole a casa sua, disinteressandosi di quello che succede altrove.
Una società ha piuttosto bisogno di una serie di valori condivisi per potersi orientare tra i tanti conflitti potenziali che l’attraversano. E uno dei principi che più hanno contribuito al successo della tradizione cristiana è stato quello di una comunanza di tutti gli esseri umani — «senza distinzioni di genti e classi, liberi e schiavi», scriveva Benedetto Croce. L’appartenenza degli esseri umani a un’unica famiglia. È un’idea che era stata abbozzata nel mondo greco (dagli stoici) e che sarà ripresa in tutt’altro modo dall’Illuminismo con lo sviluppo dell’idea dei diritti umani. È un’idea che sta alla base della civiltà europea. E di cui andare tanto più orgogliosi proprio oggi che viene criticata da più parti, vuoi perché sentita come una forma sottile di imperialismo vuoi perché incapace di difendere la nostra specificità rispetto alle altre civiltà. Senza negare le violenze che indubbiamente ci sono state, ma consapevoli della nostra storia.