Caro amico, ti scrivo perché un #tweet non può bastare
A Milano una giornata di laboratori “La #calligrafia serve anche nell’era #digitale ”
di Camilla Colombo (Corriere 10/10/16)
«Un tempo nelle scuole italiane c’era il calligrafo, colui che insegnava ai bambini la bella scrittura. Oggi il 40% dei ragazzi non sa usare il corsivo e scrive solo in stampatello». La voce di Anna Ronchi, calligrafa e insegnante, è quella che risuona più forte nella tavola rotonda organizzata ieri a Villa Necchi Campiglio, a Milano.
L’occasione del confronto con Giorgio Bollani, ottico optometrista, e con Claudio Ambrosini, terapista della neuropsicomotricità infantile, è la seconda edizione di «A mano libera. L’arte del corsivo», la giornata dedicata alla riscoperta della bella grafia promossa dal Fai, il Fondo Ambiente Italiano, in collaborazione con l’Associazione Calligrafica Italiana. La pressione tecnologica e la mancanza di linee-guida ministeriali sono la causa del progressivo abbandono dell’utilizzo del corsivo nelle scuole. Ai bambini vengono ancora insegnati quattro caratteri – corsivo minuscolo, corsivo maiuscolo, stampatello minuscolo, stampatello maiuscolo – ma spesso manca l’esempio da seguire e la comprensione che la scrittura non è fatta solo di lettere. «Il corsivo è un’attività motoria umana utile sotto l’aspetto cognitivo e linguistico – spiega Ambrosini -. Da quando l’Associazione Dislessia ha introdotto la disgrafia come disturbo della scrittura, c’è stato un aumento significativo dei casi di bambini con evidenti problemi di scrittura». I laboratori per i più piccoli organizzati dall’Associazione Calligrafica, seppur di una giornata sola, mirano a far capire che la scrittura è fatta di poche e semplici regole, utili per scrivere e studiare meglio.
Perché, se non è possibile eliminare il pc o i dispositivi tecnologici dalla vita dei bambini, è importante insegnare loro l’abilità grafica manuale indispensabile per prendere appunti o firmare il voto di un esame all’università. «Il corsivo è lo specchio della personalità, è come una tac. Non dobbiamo perdere questo aspetto di noi», conclude Giulia Fioruzzi, grafologa.