Cari #storici, non trascurate le #battaglie. Furono la culla del #cittadino #romano
La scuola delle Annales ha svalutato gli eventi bellici
Ma non possiamo fare a meno di studiare Annibale, Mario e Silla, Giulio Cesare
di Giovanni Brizzi (Corriere La Lettura 19/7/15)
L’atteggiamento — e non solo quello degli studiosi, ma quello di un’intera società — verso la storia militare è venuto modificandosi più volte nel corso degli ultimi secoli. Se gli storici dell’Otto e della prima metà del Novecento tendevano a privilegiare gli eventi, a partire dalla seconda metà del XX secolo la reazione — innescata prevalentemente dalla scuola delle «Annales» francese — portò alla ribalta gli aspetti quantitativi e sociali; e, di fatto, relegò a lungo in secondo piano la histoire évenementielle . Non era solo questione di adottare una tendenza storiografica nuova; altre erano le ragioni, pur forse inconfessate, di una scelta epocale.
Non a caso l’altra definizione della linea d’indagine ripudiata era histoire batailles , «storia delle battaglie», come se a questo si riducessero, in fondo, gli eventi che si intendeva elidere; una definizione che, viziata da una punta di spregio, usciva dall’ambito delle stesse «Annales». Oltre che dal nuovo progetto di ricostruzione globale delle società umane, da realizzare attraverso i metodi e i contributi offerti da discipline come la geografia e l’antropologia, l’economia e la sociologia, la sprezzante definizione rivolta ai passati criterî nasceva fors’anche dalla naturale reazione di una società che, uscita dalla Seconda guerra mondiale, di battaglie era sazia e nauseata.
Della rivista «Annales», attorno a cui fiorì la scuola storiografica che ne prese il nome, Fernand Braudel divenne direttore, insieme con Lucien Febvre, dal 1945. Forse meno accentuato nei precursori, il ripudio della histoire évenementielle divenne poi quasi assoluto: sicché, a partire dagli anni Sessanta del XX secolo, secondo le posizioni estreme raggiunte dalla stessa scuola, si sarebbe in teoria dovuto — mi si consenta il paradosso — descrivere l’esercito di Cesare nelle strutture — reclutamento, composizione, logistica, etc. — senza occuparsi degli scontri di cui esso fu protagonista.
Ora la tendenza si è in parte invertita; e si va riscoprendo la funzione di uomini ed eventi. La storia militare conosce da un quarto di secolo almeno un confortante risveglio. Alla sua riscoperta per quanto riguarda il mondo antico hanno contribuito, tra i primi, proprio gli studiosi francesi; in particolare Yvon Garlan, secondo cui la guerra è espressione di una società, e Jacques Harmand, che giunge addirittura ad affermare come di una cultura la guerra traduca, in fondo, praticamente la totalità e come attraverso tale aspetto non solo si colgano le tendenze primarie della storia sociale, ma si estrinsechino altresì gli aspetti fondamentali della vita politica, economica, religiosa.
Histoire batailles , dunque. Opera divulgativa che al tema si ispira, il libro di Livio Zerbini Le grandi battaglie dell’esercito romano (Odoya), da cui viene lo spunto a queste riflessioni, si estende forse troppo in ampiezza: perché occuparsi, ad esempio, di un’età arcaica per la quale — si parli del Regillo o dell’Allia — non possediamo fonti che non siano posteriori di secoli e totalmente inquinate dalla proiezione di rigurgiti dal mito o dalla religione? Meglio sarebbe stato, forse, trattare di quel Lucio Cornelio Silla che, per talune intuizioni folgoranti (la riserva tattica, sperimentata ad Orcomeno; l’impiego sul campo dell’ingegneria militare…) illuminò lo stesso Cesare.
Troppo esteso, il libro perde quindi in profondità. Mancano, talvolta, paralleli che potrebbero essere illuminanti: le vittorie di Caio Mario sui Cimbri sono, ad esempio, costruite attraverso l’imitazione di Annibale, rielaborando rispettivamente gli espedienti e le tattiche del Cartaginese alla Trebbia e a Canne; anche il re Antioco III, nella battaglia di Magnesia (vedi grafico), cercò invano di sconfiggere i Romani ispirandosi ad Annibale. Inoltre nel saggio mancano riflessioni circa le evoluzioni interne all’esercito romano: novecento anni di storia non passano invano, e persino in un mondo povero di tecnologie i mutamenti finiscono per essere molto significativi. Un ultimo rilievo, infine: attenzione al lessico (si confonde, ad esempio, troppo spesso la tattica con la strategia).
Un merito va però riconosciuto all’autore. Mancava ancora, almeno in Italia, chi osasse riproporre la vera histoire batailles, così come, ad esempio, la illustrarono a suo tempo Johannes Kromayer e Georg Veith negli immortali Campi di battaglia antichi (Berlino, 1903-1931). Benché certo lontanissimo da quell’inarrivabile modello, in Italia almeno il volume di Livio Zerbini è, che io sappia, il primo tentativo accademico in tal senso.
Chi scrive ha cercato di dimostrare come, per l’antichità almeno, la storia militare possa esser l’occhiale, davvero insostituibile, attraverso cui leggere, più ancora che le singole vicende, la parabola di un’epoca intera; parabola che, per alcuni aspetti fondamentali come il valore del cittadino romano, ha scavalcato i secoli riproponendosi al mondo, al di là di quell’Illuminismo oggi da riscoprire, con i citoyens della Marsigliese . Benché questo rimanga il compito fondamentale della storia militare, chi scrive si è però anche interrogato spesso circa l’utilità di riscrivere a latere una «storia delle battaglie» nel senso più pieno del termine. Pur ripudiata da una società che, diversamente dai nazionalismi ottocenteschi, ne rifiuta talvolta ipocritamente l’idea stessa, la guerra come gioco coinvolge oggi schiere infinite di appassionati wargamers ; e forse riflettere sulle battaglie non solo antiche aiuterà a comprendere il fascino inquietante di questo ineliminabile fenomeno umano.