#Biografia di #Traiano
Salvatore Settis (sole24ore 9/9/18)
Una mostra su un antico sovrano allestita in un edificio da lui stesso costruito duemila anni fa ma ancora in uso: non sono molte le città che possano permettersi un tal lusso. Forse, anzi, ce n’è una sola: Roma. Ed è qui che, negli straordinari spazi dei Mercati di Traiano, si può vedere (fino al 18 novembre) Traiano. Costruire l’impero, creare l’Europa. Curata, come il catalogo (De Luca) da Claudio Parisi Presicce, Marina Milella, Simone Pastor e Lucrezia Ungaro, la mostra rispecchia l’assiduo lavoro di ricerca della Sovrintendenza ai Beni Culturali di Roma conducendo i visitatori attraverso un percorso largamente informativo ma non privo di sorprese, anche se talvolta un po’ accidentato per adattarsi al contenitore, nobilissimo ma certo non pensato per mostre da Traiano o dai suoi architetti. Ma seguire il percorso di questa mostra traianea è esperienza che merita fare, perché vi incontriamo, scolpita a tutto tondo non solo nei ritratti ma in testimonianze d’ogni sorta, la personalità di uno degli imperatori (diciamolo con terminologia d’oggi) di maggior successo. Capace non solo d’esser chiamato in vita Optimus princeps, ma anche di lasciar dietro di sé una memoria largamente positiva, tanto che secoli dopo, in mezzo alle più nere crisi dell’impero, il miglior augurio che un panegirista potesse fare a un neo-imperatore era che riuscisse ad essere melior Traiano, migliore di Traiano. Nei suoi diciannove anni di regno (98-117), egli portò in dote un solidissimo rapporto con l’esercito e con l’aristocrazia senatoria, di cui faceva parte; e con lui entrava per la prima volta nelle supreme stanze del Palazzo un princeps di origine provinciale (era nato in Spagna nel 53 d.C.). Succedendo al brevissimo regno di Nerva, innalzato al trono dopo gli anni tumultuosi di Domiziano, Traiano fu il primo degli imperatori adottivi, un meccanismo di successione che avrebbe funzionato per qualche generazione (fino a Marco Aurelio) in quello che fu il secolo più prospero dell’impero romano.
Con la conquista della Dacia Traiano portò l’impero alla sua estensione massima, qualcosa come sette milioni di chilometri, un po’ meno degli Stati Uniti oggi; e lasciò in Dacia un’eredità duratura, dal nome odierno della regione (Romania) alla lingua neo-latina che ancora vi si parla. A un passo dai Mercati di Traiano svetta ancora, sostanzialmente intatta, la Colonna Traiana che racconta e celebra le guerre oltre il Danubio. La mostra ne ricorda gli straordinari rilievi con qualche calco, ma alla Colonna rimanda spesso. Anche perché, ed è questo uno dei paradossi della vicenda di Traiano, di un regno importante come il suo abbiamo pochissime fonti storiche contemporanee, e dobbiamo spesso fare affidamento sulle immagini, più generosamente conservate. E Traiano, come tutti gli imperatori, fu attentissimo alla propria immagine pubblica. Conosciamo per caso le istruzioni di un suo successore, Lucio Vero, a Frontone incaricato di scrivere la storia della guerra persiana (c. 165), e possiamo immaginare che Traiano non la pensasse diversamente. Lucio Vero manda a Frontone i materiali che dovevano allinearsi sul suo scrittoio (lettere, discorsi, verbali degli incontri con ambascerie, resoconti di battaglie, dipinti con le imprese della guerra). E chiede allo storico di dar risalto al suo ruolo personale, perché, «le mie imprese sono quel che sono, ma quel che importa è come esse appariranno; e appariranno tanto grandi quanto tu vorrai». Quel che importa è come il principe appare al solo pubblico che importa, quello dell’Urbe.
Al suo pubblico, Traiano appariva in numerosissimi ritratti, secondo tipologie che la mostra ripercorre, inclusi i volti di Traiano nelle scene della Colonna (quasi settanta volte), ma anche nelle monete che rendevano il suo aspetto popolare in tutto l’impero. Non meno importante era irraggiare la maestà del principe sull’intera famiglia: perciò Traiano non onora solo il padre adottivo Nerva, a cui deve l’impero, ma anche il padre carnale, che grazie a lui riceve onori divini come Divus Traianus Pater). Di grande importanza, poi, l’articolata beneficenza messa in atto da Traiano e dalle donne della sua famiglia (uno dei temi su cui la mostra insiste con più efficacia). La scena di institutio alimentaria rappresentata sull’arco di Traiano a Benevento ricorda un provvedimento in favore dei bambini poveri (legittimi e illegittimi) e della loro istruzione, e legato al rilancio dell’agricoltura mediante prestiti speciali. Ma anche Marciana (la sorella), Plotina (la moglie) e Matidia (la nipote) usarono le enormi ricchezze di cui disponevano per affermare il prestigio proprio e del trono; e le pronipoti Sabina (moglie di Adriano) e Matidia Minore continuarono sulla stessa linea. Restauro di edifici pubblici, istituzione di fondi benefici per i poveri e i bambini, costruzione di acquedotti, teatri, biblioteche: così le donne della casa imperiale investivano i redditi dei loro estesissimi latifondi e delle fabbriche di materiali da costruzione. Se è vero che fra II e III secolo d.C. poco meno del 50% del reddito fondiario era in mano alle donne, quel che vediamo al livello della famiglia imperiale non è che il riflesso di una presenza “di genere” assai più incisiva di quel che tenderemmo a pensare; una presenza che si traduceva com’è naturale in marcata influenza politica (ne danno conto in catalogo i saggi di Alessandra Balielo e Francesca Cenerini).
L’arte della guerra al tempo di Traiano, la costruzione delle sue Terme e del suo Foro (il maggiore nella rete dei fori imperiali a Roma), e il ruolo dell’architetto da lui preferito, Apollodoro di Damasco (poi caduto in disgrazia sotto Adriano), la conquista della Dacia e la sua romanizzazione con la fondazione di nuove città, il rapporto di Traiano con il suo esercito, la sua politica edilizia, la messa a punto del sistema portuale intorno a Roma, la cura del Tevere, gli interventi sul sistema viario con la “variante” alla Via Appia detta Via Traiana : su questi e altri temi il monumentale catalogo offre una moltitudine di saggi, anche di studiosi francesi, spagnoli, romeni, tedeschi, inglesi, che con il ricco apparato iconografico e bibliografico tracciano una sorta di aggiornata Enclopedia Traianea, sapientemente costruita dalla Sovrintendenza capitolina in parallelo con il proprio meritorio lavoro di ricerca sui materiali traianei in Roma e fuori.
Ma forse la sorpresa più inattesa della mostra è sul versante di un Traiano privato, che in mezzo alle cure dello Stato e alle imprese belliche si concede ogni tanto il riposo del guerriero. Lo sapevamo dal Panegirico di Plinio il Giovane, dove si dice che Traiano amava i monti, i boschi e la caccia; ma gli scavi nella Villa di Traiano sul monte Altuino (quasi 1300 m. di altitudine), non lontano da Arcinazzo Romano, a 60 Km da Roma, aggiungono alle parole di Plinio l’indirizzo della casa di montagna (e di caccia) dell’imperatore. Pur se ampiamente depredata nel corso dei secoli, la Villa ha ancora una sua imponenza, e colpisce in mostra la ricchezza e qualità dei materiali decorativi, dagli elementi architettonici ai pavimenti e alle pareti ricoperte di lastre di pregiati marmi policromi con elegantissimi intarsi geometrici, agli stucchi di altissima qualità, che conservano qua e là qualche resto della foglia d’oro che li ricopriva. Ci vorranno anni per ricomporre al meglio quel che resta di questa decorazione così ricca, testimonianza di un gusto personale di Traiano che appare raffinato e colto, e che forse anche le ricerche in corso sulla sua abitazione prima di ascendere al trono (Privata Traiani domus sull’Aventino), anch’esse descritte in catalogo, contribuiranno a definire.