BASTA CON LA VECCHIA #VERSIONE PER IL #GRECO E IL #LATINO . #DOMANDE SU #STILE E #CULTURA di Maurizio #Bettini (Repubblica 24/6/16)
Svelato l’autore, proposte le traduzioni migliori e dato conto delle difficoltà degli studenti, ogni anno il dibattito si riaccende. La tradizionale versione dal greco o dal latino serve a valutare le competenze dei maturandi? Il filologo Maurizio Bettini, che aveva sollevato su Repubblica la questione l’anno scorso, ribadisce il punto debole della seconda prova del liceo classico: una mera traduzione non basta per verificare il percorso formativo degli studenti. E non basta a valutare se si sono comprese la complessità e la ricchezza delle culture che esprimono quei testi
COMMENTO di un amico e collega: il movimento 5Stelle vince in Italia, in Inghilterra si lotta all’ultimo voto per la Brexit – alla maturità, esce Isocrate. Esce cioè l’autore che rispecchia ciò che più banalmente si intende per “il greco”: un testo dalla sintassi elaborata e complessa – così vediamo come se la cavano! – un lessico abbastanza piano – così non debbono passare tutto il tempo sul vocabolario – dei contenuti che più standard non si può – tanto non contano nulla, l’importante è la lingua. Ed ecco che in questo brano si parla puntualmente di “giustizia”, “virtù”, “utile”, “onesto”, “saggezza”, come se in Grecia non ci si fosse mai occupati d’altro. Per di più fornendo esortazioni epocali del tipo “fai il bene, non badare ai bricconi, perché alla fine starai meglio di loro”.
Sarebbe questa la grande cultura greca? Come se non bastasse, si tratta di un brano difficile, non siamo affatto sicuri che un ragazzo sia in grado di coglierne tutta la complessità stilistica. Se la sezione iniziale è scorrevole, la parte centrale ha invece una sintassi contorta e il senso non è limpido: tanto che le traduzioni correnti (anche autorevoli) la rendono in modo libero e soprattutto assai vario. Ciò detto, non possiamo fare a meno di ripetere quanto abbiamo già proposto sulle colonne di questo giornale: bisogna cambiare la struttura della seconda prova del classico.
In primo luogo occorre presentare un testo non scelto esclusivamente per valutare le conoscenze linguistiche degli studenti – e dunque dal contenuto banale, come questo – ma perché affronta temi interessanti, degni di essere non solo tradotti, ma anche capiti. Inoltre è necessario dotare il brano di una contestualizzazione. Siamo certi che la frase finale – con questa gente che vorrebbe navigare senza pagare il tributo – anche se i candidati riusciranno a tradurla in qualche modo, resterà comunque enigmatica ai più. Ci pare improbabile, infatti, che un ragazzo vada a pensare da solo alla seconda lega navale, studiata (se l’ha studiata) cinque anni prima. Qui ci voleva una contestualizzazione. Infine, la prova risulterebbe molto più ricca, completa e intelligente (e molto meno risolvibile via internet) se al testo si facessero seguire una serie di domande che vertano sia sui suoi aspetti linguistici e stilistici, sia su quelli culturali o letterari. In questo modo si permetterebbe finalmente allo studente di valorizzare anche ciò che ha capito, e possibilmente amato, della cultura antica. Naturalmente questa trasformazione richiede di concedere più ore per la prova, almeno sei, di scegliere testi più brevi e non inutilmente complessi, come questo, ma, soprattutto, di contenuto culturale più rilevante: in modo cioè da poterne anche parlare, oltre che metterli in italiano. Risparmiamoci qui la fatica di produrre esempi relativi a possibili domande di grammatica e di sintassi, che sono ovviamente le più facili da formulare. Sul piano letterario e stilistico, si potrebbe citare il giudizio di Quintiliano, secondo cui (sintetizzando molto) Isocrate era «più adatto alla palestra che non alla battaglia, ricercò tutte le bellezze e le grazie dell’eloquenza – e non senza ragione. Egli si era infatti preparato per le scuole, non per i tribunali». E chiedere al candidato di dire se è d’accordo o meno con questo giudizio, e perché.
Quanto alle possibili domande sui contenuti, il testo si presta poco a questo esercizio, perché alquanto banale, ma possiamo provarci. La giustizia, dikaiosúne, è una nozione centrale nella filosofia greca: si può chiedere allo studente di spiegare come articolerebbe questo concetto espresso da Isocrate, magari ricorrendo a quanto ricorda di aver studiato in Platone. Ancora, gli si potrebbe chiedere di spiegare il significato di eusébeia. Questo termine designa infatti la reverenza verso gli dèi e il rispetto per i genitori. Che cosa rivela, della cultura greca, la doppia pertinenza di questa parola? Ancora, il testo si apre con il verbo oráo, vedere, e sulla visualità si insiste anche nelle righe seguenti: che valore ha il campo del vedere nella cultura greca? Per rispondere si può parlare della “autopsía” degli storici, del teatro come “visione”, delle “idee” platoniche, e così via. E ancora, l’imitazione degli antenati è presentata come un modello capace di creare consenso: perché? Qual è il ruolo degli antenati nelle culture antiche? Basta avere un po’ di fantasia, e qualcosa da far dire ai ragazzi, stimolando la loro preparazione e la loro creatività, si può trovare persino dopo aver assegnato un testo come questo.
A mio avviso, le competenze che si usano per tradurre sono assolutamente trasversali. Quindi indispensabili
parafrasando Senecapiú per la vita che per la scuola. Però è inutile e deleterio proporre prove vecchio stampo in una scuola ove lo studio dei classici e la traduzione dei testi viene sempre più messa in secondo piano. Ricordiamo l’alternanza scuola -lavoro? E le innumerevoli attività dei dipartimento di Educazione Fisica? E l’osannatissimo tablet per cui si spendono milioni mentre le scuole cadono a pezzi e che diventa il fine e non piú uno dei tanti mezzi di apprendimento? Stiamo privilegiando il fast food anche, o forse soprattutto, a scuola.Ma il tempo per studiare, che vuol dire per meditare e rielaborare dov’è? Il tempo del NOEIN si riduce sempre più a scapito di attività giudicate utili. A questo punto Isocrate, come qualunque altro autore, diventa scomodo e fuori contesto. Ed allora bisogna ripensare l’insieme. Ma il NOEIN, a quanto pare, è fuori moda.
Ecco l’opinione di Luciano Canfora, del tutto opposta a quella di Bettini: http://video.repubblica.it/scuola/maturita-canfora-la-scelta-del-brano-e-stata-molto-saggia/244186/244248