Anche a #Cartagine si usava #Instagram
SERGIO BASSO (La Lettura, 7 maggio 2017)
C’era un tempo in cui la rotta che dalle coste dell’Africa porta verso Lampedusa non era un’autostrada della morte ma una via dell’anima. Salendo su una barca, l’uomo ha girato le coste del Mediterraneo strappando a ciascuna cultura portuale tutto quello che gli serviva per colmare il vuoto dello spirito. Le rotte dei venti non mutano nei secoli, è piuttosto l’uomo che decide cosa farne: una rosa dei venti ce lo ricorda in maniera ineludibile, incisa sul lastricato di marmo della piazza di una città romana dimenticata in Tunisia.
Sono partito alla ricerca di quella piazza, a Dougga, per poi scendere verso Qayrawan, dove sorge la più antica moschea di tutto il Maghreb. Sono partito per capire come gli antichi furono capaci di un villaggio globale molto più interconnesso di quanto permettano le isterie dei nazionalismi del nostro presente.
Quando finalmente entro ad Al-Qayrawan, nei meandri della medina, a fianco alla Moschea delle Tre Porte del IX secolo, da una porticina di legno intagliato sguscia un uomo. Stende deciso la destra e si presenta con un: «Ciao, io sono Admehd, sono malato di mente». Mi apre la porta di casa sua e mi fa notare che nei cortili come per tutta la città antica, il recupero e la ridigestione dei materiali dalle costruzioni bizantine è talmente massiccio da risultare come una fragranza eccessivamente odorosa, quasi stordente.
Gli do ragione: molti chilometri fa, al Museo del Bardo a Tunisi, mi aveva colpito il mosaico che immortalava la facienda di Julius, una villa del IV d.C. a Cartagine. È identica alle case che i conquistatori arabi avrebbero eretto per sé dal VII in poi: non c’è stato alcun trauma nella cultura materiale, nel passaggio di testimone dai bizantini agli arabi.
L’avanzata araba in Africa non fu poi così repentina: i berberi diedero filo da torcere agli invasori. Il vento cambiò solo quando il Pizarro arabo, ‘Uqba ibn Nafi’, eresse misr, accampamenti semi-stabili, in modo da non perdere i territori via via conquistati, nella corsa verso ovest. Qayrawan si sviluppò ipertrofica proprio da uno di questi accampamenti, per poi divenire una frizzante sede universitaria sotto gli Aghlabidi, anticipando le atmosfere della Parigi medievale. Tanto per capirci, furono proprio gli Aghlabidi a lanciarsi alla conquista della Sicilia nell’827 d.C.
Admehd non mi sembra poi così pazzo. Mi accompagna lui alla soglia della Grande Moschea: supera sicuro la prima, ampia corte, svicolando da 1.300 anni di storia, e s’infila nei due cortiletti posteriori. Qui mi addita gli azulejos alle pareti: riportano l’immagine, inconfondibile, di quella che era stata la cattedrale cristiana di Santa Sofia a Costantinopoli. Il tempo si ferma e la mente viaggia a 2.700 chilometri da qui. Ma Admehd ride: le piastrelle risalgono a dopo il 1453, e l’ex-chiesa madre bizantina era ormai per tutti la moschea di Aya Sofya. Il cerchio si chiude.